Midland, "On The Rocks"

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Non capita spesso che il prestigioso settimanale “The New Yorker" si occupi di musica country; ogni tanto, però, capita. L'ultima volta è accaduto a luglio, quando ha pubblicato un pezzo sulla carriera di George Strait nel quale, fra l'altro, si nota che fra i recenti successi country

Le canzoni “Take a Back Road” di Rodney Atkins, “Girl in a Country Song" di Maddie & Tae, “Rewind” dei Rascal Flatts e “Might get Lucky" di Darius Rucker hanno una cosa in comune: in tutte si menziona il nome di Strait, nella speranza di prendere a prestito un po' della sua ineccepibile credibilità country.”

Come dire: va di moda inserire il suo nome nel testo di canzoni che, però, con il suo stile hanno in realtà poco a che fare. Volendo usare una metafora presa dal mondo dei social network, potremmo dire che di questi tempi nelle canzoni country Strait viene spesso “taggato", ma per lo più a sproposito. È una cosa che avevo notato da tempo. e consideravo nel suo piccolo sintomatica.

Ora però è accaduto qualcosa di diverso.

Pochi giorni dopo aver letto quel pezzo del New Yorker, mi è capitato di assistere ad un concerto di Kenny Chesney in Alabama. La band che apriva erano i Midland, un trio emergente che da qualche settimana stava scalando le classifiche con una ballata molto orecchiabile intitolata “Drinkin' Problem”. Quando ad aprile avevo acquistato il biglietto mi ero domandato chi accidenti fossero. Ad agosto, arrivato in Alabama dopo aver viaggiato in Arizona e in Tennessee, non me lo chiedevo più. Durante quel viaggio avevo ascoltato “Drinkin Problem" ogni santo giorno alla radio: era il vero tormentone dell’estate 2017, da quelle parti. E infatti il pubblico, che naturalmente quella sera era lì per Kenny Chesney e non certo per i Midland, la conosceva e la cantava volentieri.

È una canzone che parla di sbronzarsi, ma non lo fa nel modo in cui solitamente lo fanno le canzoni country che hanno dominato le classifiche  negli ultimi dieci – quindici anni – per intenderci: quella roba alla Florida Georgia Line del tipo “Ehi amico, ho il didietro del pick-up carico di birre, andiamo giù al fiume e spacchiamoci di alcol come se non ci fosse un domani”. No: questa è una canzone da cuore infranto, parla di uno che beve per dimenticare le pene d’amore, riprendendo la grande tradizione del Medie Haggard di “Misery and gin" e del George Jones di “If Drinkin' don't Kill Me":

“La gente dice che ho un problema con il bere

Ma io a bere non ho proprio nessun problema

Continuano a parlare

A tirare le loro conclusioni

Loro lo chiamano problema, io la chiamo soluzione"

Non è una canzone lagnosa: racconta una cosa triste, ma nel momento stesso in cui lo fa la sta già annaffiando con l’antidoto dell’ironia. Ricordate il George Strait di “Ocean Front Property”?

“Anche se mi pianti non sentirò la tua mancanza, e non ti riprenderò indietro

Non sarò tormentato dal tuo ricordo, perché tanto, se ci credi,

Ho sempre la mia casa sulla costa dell’Arizona

Dal mio portico si vede il mare”

Ecco, dicevamo: George Strait e le canzoni che lo menzionano. Una decina di giorni fa è uscito il primo album dei Midland (anche il titolo ha un aroma alcolico: “On the Rocks"), e delle ben 13 canzoni che lo compongono nemmeno in una lo si cita per nome. Forse perché, contrariamente alle canzoni elencate nel pezzo del New Yorker che ricordavo al principio, quelle dei Midland non hanno alcun bisogno di nominare Strait: in quasi tutti i brani di “On the Rocks" aleggia il suo stile, e la cosa più interessante è che sono riusciti a rifarsi a lui senza clonarlo pedissequamente – un po' come negli anni Novanta, dall’altra parte dell’Atlantico, gli Oasis erano riusciti a fare con lo stile dei Beatles. È insomma qualcosa di più di un banale revival, come del resto – passatemi il paragone sproporzionato - fu ben più di un revival quello che Strait realizzò negli anni Ottanta riprendendo ma non scopiazzando (potremmo dire: attualizzandolo) lo stile dei grandi honky tonkers degli anni Sessanta.

Anche allora, quando improvvisamente esplose il fenomeno George Strait, la musica country veniva da anni di massiccia contaminazione con la musica pop. Una contaminazione così massiccia che probabilmente quella vena era ormai un po' esaurita. Nello stesso 1981 in cui Kenny Rogers vestiva come uno dei Bee Gees e persino Barbara Mandrell in una canzone con la quale rivendicava “Io ero già country quando il country non era di moda” lo faceva cantando su sonorità soft pop che di country avevano ben poco, Strait se ne uscì invece in controtendenza con il suo stile insolitamente texano e con il suo look da “vero cowboy", dando un punto di riferimento a chi aveva fame e sete di un country meno succube delle mode.

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Forse è presto per dirlo, ma oggi potremmo trovarci in una situazione di “fine ciclo” per certi versi analoga. Il mercato potrebbe cominciare ad essere saturo non tanto dei campioni del pop country come Sam Hunt o Thomas Rhett, ma dei loro molti, troppi emuli. L'operazione Midland potrebbe essere un test con il quale l'industria di Nashville sta saggiando le potenzialità commerciali di un country “nuovo proprio perché vintage”, da affiancare a quello marcatamente pop degli ultimi anni (dico affiancare perché soppiantare non sarebbe realistico e nemmeno troppo sensato sul piano commerciale).

Sì perché i Midland sono questo: una “operazione”. Il loro album non è pubblicato da una etichetta indipendente texana, ma dalla famigerata Big Machine (la stessa di Taylor Swift, dei Florida Georgia Line, di Thomas Rhett e dei Rascal Flatts);. “Drinkin' Problem” è arrivata in vetta alle classifiche perchè è una bella canzone ma anche perché le principali radio country l’hanno spinta per tutta l’estate; questo ed altri brani dell’album portano, accanto a quelle dei tre Midland, la firma di Shane McAnally, forse in assoluto il più quotato autore di grandi successi country dell’ultimo decennio, il quale di “On the Rocks” è anche il produttore.

Persino l’immagine dei tre è curata con straordinaria professionalità, in modo da rispecchiare nel modo più efficace possibile la formula del “nuovo proprio perché vintage” (su questo ha già detto tutto il blog The Bon Ton Cowgirl, in uno dei suoi imperdibili post).

Questa operazione sembrerebbe partita molto bene ("On the Rocks" ha debuttato direttamente al secondo posto della classifica "Hot Country Albums" di Billboard), ma non possiamo certo prevedere dove andrà a parare. Quello che sappiamo è che è stata fatta con grande cura. Si tratta, al di là di tutto, di musica country di alta qualità. E questo è ciò che più conta.

Ascoltatelo. Godetevelo. Sentite che spasso “Burn Out”, con il suo romanticismo da bar alla Urban Cowboy - anche questa scritta con Shane McAnally, e si sente. Sentite che tiro ha “Check Cashin' Country”, perfetta colonna sonora da viaggio on the road. Sentite che sapore “retrò” ma al tempo stesso fresco e pieno di vitalità ha “This Old Heart", un pezzo degno di Dwight Yoakaham, scritto assieme al mitico David Lee Murphy (proprio lui, quello della indimenticata “Dust on the Bottle").

Ascoltiamoceli. Godiamoceli. E poi vedremo cosa accadrà.

Midland - "On the Rocks"
Big Machine Records, 22 settembre 2017
Voto: 4 cactus e 1/2

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