Kenny Chesney Live in Tuscaloosa, Alabama - 4 agosto 2017

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"A little messed up, but we're all alright" - "Un po' incasinati, ma stiamo tutti bene". Ogni volta che arriva quel verso di "American Kids" il pubblico esplode, lo intona in una ondata gioiosa e liberatoria, illuminato da fari che per un istante danno più luce a loro, alla "No Shoes Nation", che al suo guru. Quella frase, scritta da uno Shane McAnally quasi quarantenne, campeggia più di ogni altra sulle tshirt degli spettatori. È diventata un motto: quello di chi si accorge che sta cominciando ad invecchiare, ma lo sta facendo bene.

E' in effetti un motto che si addice ad uno come Kenny Chesney. Quando una quindicina d'anni fa raggiunse l'apice del successo, il suo principale mestiere divenne quello di riempire gli stadi. Non i palazzetti dello sport, dove si giocano le partite di basket e di hockey (quelli che gli americani chiamano "arena"). Proprio gli stadi, quelli grandi del football e del baseball. Strutture metropolitane da 60mila spettatori. In pochi ci riescono nel mondo della country music - si contano sulle dita di una mano. Lui ci è riuscito, e ci è riuscito così bene da battere, in questo campo, anche Bruce Springsteen. Probabilmente non ci sarebbe mai arrivato se si fosse limitato a fare solo ciò che faceva in origine, una onesta country music tradizionale e nulla di più. E invece no, non si è limitato per niente. Al Kenny cantautore da honky tonk delle origini si sono ben presto affiancate altre due facce: il Kenny rockettaro, animale da palcoscenico tutto muscoli sudati e chitarre distorte, e il Kenny caraibico, cantore della fuga su spiagge lontane. La seconda intuizione è stata una rivisitazione di quella che negli anni Settanta aveva avuto per primo Jimmy Buffett, il quale sotto le palme di Key West sperimentò per primo quel country "delle isole" che qualcuno ribattezzò spiritosamente "Gulf and western". Riprendere l'idea di quella suggestione esotica ha "reso speciale" Kenny e gli ha fatto vendere molti più dischi; ma a fargli riempire gli stadi è stata soprattutto la vena rockettara, in fondo la stessa che negli anni 90 quasi tutte le nuove star del country avevano sfruttato almeno un po', ma che lui in qualche modo ha saputo spremere più a fondo. Queste sue diverse anime convivono serenamente, ma difficilmente vengono fuori tutte assieme. Nei concerti è il Kenny rock che ti devi aspettare, non i Kenny country nè il Kenny reggae.

A dire il vero quest'estate non ci si doveva aspettare quasi nulla. Il guerriero si sarebbe dovuto riposare: invece dei soliti concerti, un bel po' di mesi a godersi le vendite del suo nuovo album "Cosmic Halleluiah", magari dal suo amato covo alle Isole Vergini. Una scelta inconsueta per un fenomeno che dal 2002 ha pubblicato 12 album ed è andato in tour 14 volte. D'accordo, l'anno prossimo compirà 50 anni. Ma davvero sarebbe stato in grado di stare per un anno intero senza assaggiare l'adrenalina del palco? No. Non del tutto. Quando l'estate si è fatta vicina, Chesney ha regalato ai suoi fans - e a se stesso - una manciata di date agostane: per lo più in piccole venue tranne due a Nord, a Boston al Gilette Stadium (dove giocano i New England Patriots). Solo queste ultime due rientrano in pieno nel consueto rito del concertone da stadio (121mila spettatori in due serate: un record); le altre no, sono date strane, "fuori standard", una versione quasi compressa del suo show solitamente pensato per ben più larga scala.

Ho avuto la immeritata fortuna di assistere al più piccolo di questi concerti. Il 4 agosto a Tuscaloosa, nel bel mezzo dell'Alabama: un paesino che a malapena esisterebbe se non ospitasse l'università dello Stato in cui nacque Hank Williams. Oltretutto non è un college importante, ma almeno un vanto ce l'ha: i Crimson Tide, una delle squadre di football più forti del campionato universitario. E infatti Kenny è venuto qui molte volte a suonare nel loro stadio. Ma stavolta no: si esibisce in un teatro all'aperto che ospita "solo" ottomila spettatori, praticamente un oratorio per uno come lui. Sono quasi tutti posti a sedere, ma per tutta la durata del concerto non si è seduto quasi nessuno. Perché sì, lui avrà quasi 50 anni, ma le chiappe sulla sedia non te le fa appoggiare. Non sia mai.

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Quanta energia. Il sudore si confonde con l'umidità monsonica dell'Alabama. Lo show non dà tregua. Pochi effetti speciali ma un muro di suono sempre compatto e robusto. Lui perennemente sull'orlo del palco a dare il cinque alla sua tribù, quasi come se questo gesto gli desse la carica. I primi dieci brani ("Beer in Mexico", "Reality", "'Til it's Gone", "Summertime", "Pirate Flag", "No shoes, no shirt, no problems", "Somewhere with you", "I go back", "Anything but mine", "Save it for a rain day") si susseguono a raffica senza soluzione di continuità, senza un solo istante di tregua. Solo dopo il decimo brano si concede qualche minuto per scherzare ("Hey, questa è la prima pausa che ho per dirvi CIAO!") e per evidenziare che l'undicesimo brano sarà una canzone che sta per eseguire dal vivo per la primissima volta. Si tratta del suo nuovo singolo "All the Pretty girls" - un pezzo rock, come quasi tutti quelli che della serata. Non c'è niente da fare: è il Kenny da stadio, anche se non siamo in uno stadio. Tra le poche concessioni non prettamente rockettare ci saranno una "You and Tequila" da pelle d'oca, in duetto con la bassista texana Harmoni Kelley che non fa rimpiangere quello originale con Grace Potter, e il gran finale di "She thinks my tractor's sexy", con la platea inondata di luce verde smeraldo come quello dei trattori John Deere. Sul palco con lui, in questo finale festoso, i Midland, i tre giovanotti texani che hanno aperto la serata e stanno scalando le classifiche con la loro "Drinking Problem": cantano con lui una canzone che era uscita quando avevano a malapena terminato le superiori.

Nella raccolta "Live in No Shoes Nation" che uscirà il 27 ottobre e documenterà il suoi ultimi dieci anni di concerti troverete qualcosa in più del Kenny "non rockettaro": una "When I see this bar" in duetto con Eric Church, una "Everybody wants to go to heaven" eseguita con la Zac Brown Band (l'originale la aveva registrata con i Waylers, la band di Bob Marley), e ancora "Guitars and Tiki Bars", e "Old Blue Chair". Ma per l'appunto si tratta di un disco: di una selezione fatta per essere ascoltata stando comodamente seduti, in cuffia, nella quiete del vostro salotto (o in quella di una spiaggia, potendo). Nel concerto, quello vero, lui vuole tenere tutti in piedi. E accidenti se ci riesce.

Ale